Il Salento
Ecco i paesi della Provincia di LECCE:
Acquarica del Capo; Alessano; Alezio; Alliste; Andrano; Aradeo; Arnesano; Bagnolo del Salento; Botrugno; Calimera;
Campi Salentina; Cannole; Caprarica di Lecce; Carmiano; Carpignano Salentino; Casarano; Castri di Lecce; Castrignano dei Greci; Castrignano del Capo; Castro; Cavallino; Collepasso; Copertino; Corigliano d'Otranto; Corsano; Cursi; Cutrofiano; Diso; Gagliano del Capo; Galatina; Galatone; Gallipoli; Giuggianello; Giurdignano; Guagnano; Lecce (capoluogo di provincia); Lequile; Leverano; Lizzanello; Maglie; Martano; Martignano; Matino; Melendugno; Melissano; Melpignano; Miggiano; Minervino di Lecce; Monteroni di Lecce; Montesano Salentino; Morciano di Leuca; Muro Leccese; Nardò; Neviano; Nociglia; Novoli; Ortelle; Otranto; Palmariggi; Parabita; Patù; Poggiardo; Porto Cesareo; Presicce; Racale; Ruffano; Salice Salentino; Salve; San Cassiano; San Cesario di Lecce; San Donato di Lecce; San Pietro in Lama; Sanarica; Sannicola; Santa Cesarea Terme; Scorrano; Seclì; Sogliano Cavour; Soleto; Specchia; Spongano; Squinzano; Sternatia; Supersano; Surano; Surbo; Taurisano; Taviano; Tiggiano; Trepuzzi; Tricase; Tuglie; Ugento; Uggiano La Chiesa; Veglie; Vernole; Zollino.
I Messapi
Per Virgilio il popolo dei messapi era di origine Cretese. Gli studiosi oggi, grazie a molti ritrovamenti e recenti studi sono concordi nell'affermare che invece i primi messapi venivano dalla vicina Albania, quindi dall'Illiria, e colonizzarono i centri più a sud come Santa Maria di Leuca per risalire verso Taranto. Quindi i Messapi erano un popolo di stirpe illirica giunto ad Otranto verso il 1000 a.C., essendo questo il punto della penisola italica più vicino all’Albania. In seguito sarebbero discesi fino a Santa Maria di Leuca per poi risalire fino a Taranto. La loro lingua ci è nota grazie al gran numero di di iscrizioni rinvenute in Puglia ed in particolare nel Salento, redatte in alfabeto messapico, che trova rispondenza nell’alfabeto greco che era in uso a Taranto. Il significato del loro nome non è ancora stato chiarito: secondo alcuni studiosi significherebbe popolo tra i due mari, poichè il loro territorio si trovava compreso tra lo Ionio ed l’Adriatico. Altri le danno il significato di domatori di cavalli, arte nella quale effettivamente i Messapi eccellevano. Essi erano organizzati in città governate da oligarchie gentilizie, unite tra loro in una confederazione e capeggite da un re. Non hanno mai cercato di espandere il proprio territorio a danno dei popoli confinanti e neppure hanno mai intrappreso guerre di conquista.I Messapi si limitarono esclusivamente a difendere il proprio territorio dalle incursioni dei tarantini e la Iapigia, l’odierna Puglia, dagli stranieri che tentavano di spezzare la resistenza delle popolazioni locali. Secondo i ricercatori sembrerebbe che non un singolo popolo ma un insieme di genti di proveninza diversa abbiano costituito la nazione messapica. Combattivi e indipendenti, i Messapi ebbero numerosi scontri con i Tarantini, che erano in continua espansione verso l’interno , riuscendo a sconfiggerli nel 473 a.C. Nel 413 a.C., durante la Guerra del Peloponneso, il principe messapico Artas fornì il suo aiuto agli Ateniesi nell’assedio di Siracusa. Dal 343 al 338 a.C., i Messapi combatterono con successo contro il re spartano Archidamo III, giunto in Puglia per aiutare la città di Taranto. Successivamente vennero sconfitti dal re Alessandro d’Epiro intervenuto in soccorso dei tarantini. Durante le guerre sannitiche furono nelle prime due alleati con i Romani, mentre nella terza si staccarono parzialmente da essa. Si schierarono quindi al fianco di Pirro, il re dell’Epiro, nella lotta dei tarantini contro Roma, ma nel 280 a.C. vennero duramente sconfitti e sottomessi tra il 267 e il 266 a.C.. Mai completamente romanizzati, durante la seconda guerra punica, tra il 213 e il 212 a.C. essi si ribellarono nuovamente e nel 90 a.C. presero parte alla guerra sociale.
Da segnalare l'articolo sulla rivista "il Grande Salento.it" la Dodecapoli messapica, la prima confederazione tra le comunità salentine di Lino DE MATTEIS
Il periodo Romano
Più tardi la città, dopo la Guerra Sociale (89 a.c.) passò da statio militum a municipium (con l’iscrizione dei nuovi cittadini alla tribù Camilia) retto da Quattuorviri con potestà giusdicente. L'applicazione delle leggi municipali, dettate dalle leggi romane, ed in particolare il divieto di seppellire all'interno dell'abitato, impose l'abbandono delle aree funerarie poste all'interno delle mura, permettendo invece una continuità d'uso di quelle esterne consentendo la formazione di nuove necropoli.
Quando Lupiae divenne municipio romano, le necropoli vennero spostate all’esterno della cinta muraria, come tipico delle consuetudini romane e venne introdotto il rito dell’incinerazione. Il mondo dei vivi si separava così dal mondo dei morti. Successivamente ottenne la promozione a colonia guidata da duumviri.
È però in età augustea che avviene la grande trasformazione urbanistica della città che si riforma a scacchiera con le due vie ortogonali. Si racconta che Ottaviano, di ritorno dall’Oriente dopo la morte di Cesare, sia arrivato a Lecce nel 44 a.c. e qui accolto come nuovo Cesare.
Vennero in quest'epoca costruiti il teatro e l’anfiteatro e, nell’area dell’attuale Piazza Duomo, il foro della città. posto all’incrocio del cardo e del decumano massimi. Il primo Duomo viene costruito in età paleocristiana sostituendo lo spazio civile della Basilica con quello religioso della chiesa.
Secondo alcuni studiosi però al posto del Duomo non vi era una basilica ma bensì un grande tempio, posizionato tra la piazza del Duomo e il teatro romano.
Dimenticato da secoli nel sottosuolo dell’antica Lupiae, il Teatro Romano di Lecce riemerse per caso dal passato dopo secoli di dimenticanza, e di Lupiae e di tutte le bellezze degli antichi romani, nel 1929.
Durante gli scavi sono stati rinvenuti in loco frammenti delle statue di Ares, di Artemide, di Amazzone, di Athena, di Zeus, e pure un clipeo con l’immagine della Dea Roma, probabilmente accompagnata da una statua di Augusto, collocata al centro del frontescena. I reperti di cui sopra, provenienti dallo scavo sono conservati attualmente al Museo Provinciale "Sigismondo Castromediano" di Lecce. Il complesso architettonico del teatro è stato utilizzato per un lungo tempo, rappresentando sia tragedie che commedie.
Oltre al Teatro molte altre sono le testimonianze romane tipo il frantoio e cisterna, il trapetum, le Terme pubbliche, e poi il meraviglioso Anfiteatro Romano.
Il massimo edificio teatrale conservato in Puglia. È datato ad età augustea con rifacimenti dell'imperatore Adriano (Primo Secolo dopo Cristo).
L’Anfiteatro Romano ha una forma ellittica ed è stato scavato nella viva roccia tufacea: fu costruito in pietra leccese, rivestito completamente in marmo, e con preziose decorazioni. Ciò che oggi è visibile, ad una profondità di circa 8 metri, è parte dell’arena, la gradinata inferiore e due gallerie interne che si collegavano presumibilmente al porticato che si stendeva all’esterno. Misurava circa 102 m × 83 m e riusciva a contenere oltre 25 000 spettatori. Gli scavi sotto la guida dell'archeologo Cosimo De Giorgi, durarono sino al 1940; ma solo un terzo del monumento venne recuperato, il resto giace sotto piazza Sant'Oronzo dove si ergono alcuni edifici e la chiesa di Santa Maria della Grazia.
Rudiae, città natale del padre del poeta Quinto Ennio, invece, è un’antica città messapica fondata nei pressi dell’antica Lupiae, nella Valle della Cupa e in mezzo agli ulivi secolari dove oggi domina l’anfiteatro romano. Tale monumento , che si conserva quasi interamente, fu costruito in epoca Traianea tra il 98 e il 117 d.c.. di m 85 x 50, poteva ospitare quasi 8.000 spettatori.
Lecce è l’unica città al mondo che possa vantare due anfiteatri romani, anche se Lupiae e Rudiae erano due città distinte, che forse proprio per antagonismo si vollero dotare entrambe di un simile e importante monumento.
Testimonianze Romane ancora sono Il Tempio di Iside: molti mercanti venivano qui per portare un tributo alla Dea della fecondità e della maternità. Poi ancora la Colonna di SANTO ORONZO.
Ancora I MOSAICI SOTTERRANEI. Il sottosuolo di Lecce è ancora tutto da scavare per fornire nuove sorprese. Per esempio nel Vico dei Sotterranei, un luogo posto oggi sotto il livello stradale, si conservano una serie di mosaici pavimentali appartenenti alle domus romane del V secolo.
In'età imperiale, soprattutto nel II secolo, Lupiae diventa il centro più importante del Salento. L'imperatore Adriano dotò Lupiae anche di un porto nella vicina rada di San Cataldo. Chi però ampliò e abbellì ancor più Lupiae fu Marco Aurelio Antonino (161-180) di origini salentine, che si riteneva discendente di Malennio, per cui la città gli era particolarmente cara.
Questo ruolo di egemone ricchezza dura fino al V-VI secolo quando anche a Lupiae, come in tutto il mondo antico, si assiste alla ridefinizione funzionale del centro urbano, in parte legata alla diffusione del Cristianesimo con conseguente edificazione degli edifici di culto cristiani e demolizione di quelli pagani.
Le invasioni barbariche
Il periodo compreso fra il 455 e l’anno 1000 circa, fu caratterizzato dalle invasioni, dell’Italia e quindi anche del Salento, di numerose popolazioni barbare.
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente, che si fa risalire nel 476 ad Odoacre re degli Eruli non comportò per le popolazioni pugliesi ne guerre ne contrasti di altro genere con i nuovi dominatori in quanto il nuovo re non si spinse fino alla nostra regione ma i limitò solo a mandare qualche guarnigione che garantisse il prelievo fiscale pel altro già dovuto dai proprietari terrieri durante l’Impero.
Nel 494 Odoacre fu sconfitto dal re degli Ostrogoti Teodorico che durante il suo regno garantì un periodo di relativo benessere dovuto ad una ripresa delle attività produttive e commerciali. Tuttavia la prosperità e la pace non durarono a lungo in quanto nel 547 i Goti guidati da Totila dopo aver conquistato Napoli e Roma, si spinsero nell’Italia meridionale e devastarono molte città fra le quali Otranto, Lecce, Brindisi, Taranto e Canne. L’espansione dei Goti fu fermata nel 552 da Giustiniano, imperatore di Costantinopoli, che inviò un esercito al comando di Narsete che e vicino Gubbio uccise Totila. La Puglia uscì devastata dalla dominazione gotica: l’economia era ridotta al lastrico, le campagne abbandonate, il commercio immiserito e la popolazione a causa della scarsità di cibo era ridotta alla fame e costretta a cibarsi di tuberi e bacche.
A partire dal 553 la Puglia divenne dominazione bizantina e la sua popolazione già stremata dalla precedente guerra fu ridotta in condizioni assai misere a causa delle pesanti tassazioni.
Il Basso Medio Evo e i Saraceni
Tra IX e X secolo il Salento dovette sopportare gli assalti dei Saraceni, che riuscirono a stanziarsi a macchia di leopardo sul territorio per periodi più o meno lunghi, fieramente contrastati dai Bizantini. Nell'anno 847 d.C.: i saraceni occupano Bari e Taranto, ma i bizantini rimangono nel Salento.
Nell'870 d.C.: i saraceni distruggono Ugento e ne deportano gli abitanti in Africa. Nel 928 d.C.: Taranto è distrutta dai saraceni.
Per molti secoli la penisola salentina divenne una terra di confine fra Longobardi e Bizantini. Questi ultimi, intorno al VII secolo, fondarono il Ducato di Calabria, aggregando la regione del Bruzio (l'attuale Calabria) alle terre che già possedevano nel Salento. Fu in questa occasione che il nome Calabria finì per designare l'odierna regione calabrese, mentre il Salento venne progressivamente conquistato dai Longobardi che finirono per prendere anche la capitale del ducato, Otranto. Nel 757, nel periodo in cui Longobardi e Bizantini stipularono la pace e si spartirono il territorio, la città idruntina venne restituita all'Impero insieme alla parte meridionale del Salento, ma ormai la trasmigrazione del nome Calabria era compiuta.
Lungo il confine pattuito i Bizantini eressero un muraglione, tramandatoci con il nome di Limitone (o Paretone) dei greci, a salvaguardia di quello che ormai veniva designato semplicemente come territorio di Otranto. I Bizantini favorirono l'immigrazione dei Greci, in particolare nel sud del Salento, per ripopolare una zona considerata strategica. Le tracce di quell'antica migrazione sopravvivono tutt'oggi nell'isola linguistica della Grecìa salentina, dove si parla una lingua direttamente imparentata al greco. I territori salentini posti a nord del Limitone confluirono invece nella Langobardia Minor. Nell'VIII secolo vi fu anche una migrazione di monaci basiliani dalla vicina Grecia nel Salento dove con la creazione prima di cappelle ipogee e poi di chiesette greco-ortodosse contribuirono allo sviluppo economico e sociale.
La rinascita del Salento con i Normanni
La situazione politica dell’Italia meridionale agli inizi dell’XI secolo era intricata: Bisanzio conservava la sua infuenza su Puglia, Basilicata e Calabria.
Nel 1035 cominciano a giungere nel Sud della penisola dei cavalieri le cui imprese permetteranno la costituzione di un regno. Sono alcuni dei figli di Tancredi d’Hauteville (d’Altavilla), un modesto cavaliere possessore di un piccolo territorio nel Cotentin (il “corno” della Normandia). Tra essi: Guglielmo detto “Braccio di ferro” e, successivamente, Roberto il Guiscardo e Ruggero. . Guglielmo conquista larga parte della Puglia e nel 1043, muore nel 1046 ma l’espansione normanna in Italia meridionale continua. Roberto detto “il Guiscardo” ad avviare il progetto ambizioso di unificare il dominio normanno in Italia meridionale. Roberto il Guiscardo, dopo aver battuto, fatto prigioniero il Papa, si allea con il papa Niccolò II, viene proclamato duca di Puglia e Calabria.
Alla morte di Roberto il Guiscardo, il ducato di Puglia va in mano al figlio di Ruggero, poi da questo a Guglielmo, ed infine a Ruggero II, figlio di Ruggero I, il quale riuscirà nell’intento di creare un regno normanno unitario in Italia meridionale.
Completata l'unificazione dichiara Palermo capitale ed egli diviene il Re di Sicilia.
Ruggero organizza il nuovo Stato in modo centralizzato, fondandolo su un solido apparato burocratico. Tale formula di governo è espressa in un testo di leggi (le Assise di Ariano), promulgate nell’estate del 1140. Questo corpo di leggi si può definire come una mirabile sintesi di tradizioni franche e normanne, bizantine e musulmane; esso costituirà il nucleo del potere monarchico in Italia meridionale, sino all’avvento dell’unità d’Italia, nella seconda metà del XIX secolo. Il fine politico di Ruggero è quello di realizzare un equilibrio tra corona e feudatari, mediante una burocrazia accentrata e organizzata in modo gerarchico, con il sovrano al vertice, e la concessione di margini di autonomia più o meno ampi ai baroni, nell’ambito della loro proprietà terriera.
Con re Ruggero, il Mezzogiorno d’Italia diventa la potenza dominante del Mediterraneo, che gode del più alto credito da parte delle altre corti europee.
Ruggero II muore nel 1154 lasciando in eredità un regno ricco e sviluppato, di grande prestigio, paragonabile a un vero e proprio impero.
Una politica lungimirante impedì ai Normanni di scatenare repressioni nei confronti della chiesa greca che assistette all’ingerenza pacifica della chiesa di Roma.
Il Salento visse in prima persona questo periodo di rinascita, visto che uno dei suoi ”figli”, Tancredi conte di Lecce, era nipote del grande re Ruggero II e quindi resse gli ultimi anni della dinastia normanna come re delle Due Sicilie.
A Tancredi si deve la commissione della chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo che, insieme al complesso di Santa Maria di Cerrate e alla cattedrale di Otranto, testimonia la vitalità della cultura normanna e la ripresa delle arti dopo decenni di lotte. La connessione tra Oriente e Occidente è riscontrabile in tutti questi edifici; nella chiesa di Cerrate, l’impianto è ascrivibile alla cultura benedettina, ma il ciclo di affreschi risente della più pura influenza bizantina.
La chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo, voluta da Tancredi di Lecce nel 1180, presenta un impianto a tre navate in linea con le chiese benedettine, ma il ricco portale, gli archetti ciechi e le greche rimandano alle decorazioni orientali. Tra le più grandi della Puglia, la cattedrale di Otranto presenta una pianta tipicamente benedettina a tre navate terminanti in altrettante absidi, in una delle quali è stata ricavata una cappella nella quale sono conservati i resti degli 800 martiri di Otranto.
Gli Svevi e Federico II detto "stupor mundi"
Con l'estinzione della famiglia regnante normanna ed il matrimonio fra l'ultima discendente della famiglia Altavilla Costanza ed Enrico VI di Svevia vi fu il successivo avvento degli Svevi. Il Salento divenne un'importante area di caccia e gli Svevi si interessarono anche della ristrutturazione delle fortificazioni, con modalità differenti rispetto al resto della Puglia. Un esempio, sia pure in larga parte rimaneggiato, di architettura del periodo svevo risulta essere il castello di Oria che venne ampliato da Federico II, così come la torre di Leverano. Sin dalle prime Crociate, Brindisi divenne il principale imbarco verso l'Oriente per i numerosi cavalieri e pellegrini diretti in Terra Santa. Nel 1266, l'ultimo sovrano di origine sveva Manfredi, figlio naturale di Federico II, morì combattendo nella battaglia di Benevento contro Carlo d'Angiò, signore di Provenza inviato a scendere in Italia meridionale da papa Clemente IV. I
Arrivano gli Angioni
L'abbazia di Santa Maria di Cerrate, situata sulla strada provinciale che collega i comuni di Squinzano e Trepuzzi a Casalabate, è uno dei più significativi esempi di Romanico otrantino. L'abbazia fu fondata, secondo leggenda, alla fine del XII secolo da Tancredi d'Altavilla, conte di Lecce.
Lecce non è solo Barocco, ma questo già si sapeva, Lecce è arte e bellezza plasmata nella pietra viva, a volte protetta dai portoni dei palazzi, a volte sfacciatamente esibita.
A metà tra i monumenti celati e quelli svelati, ne esiste uno che placidamente che ha il ruolo di testimone di passaggi senza ritorno: è la chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo che si trova nel cimitero di Lecce e oggi è il giorno più giusto per raccontare di lei, che è, particolare di non trascurabile importanza, il più significativo e meglio conservato esempio di architettura normanna a Lecce.
La chiesa si trova nel cimitero, ma fa parte del complesso degli Olivetani, fu fatta realizzare nel 1169 dal conte di Lecce Tancredi d’Altavilla in segno di devozione imperitura nel confronti di San Niccolò protettore dei naviganti e San Cataldo, protettore di Taranto, per essere scampato ad un terribile naufragio nel Canale D’Otranto.
Lo stile romanico austero ed elegante si sposa perfettamente con quello barocco esuberante e dinamico nella facciata della chiesta interamente rifatta da Giuseppe Cino nel 1716 per volere degli Olivetani, che della struttura originaria lasciarono solo il portale e il rosone.
Il nuovo sovrano, fondatore della dinastia angioina, è accompagnato da un nugolo di cavalieri provenzali che nel giro di pochi anni si sostituiscono agli antichi feudatari normanno-svevi. Questi ultimi, non sopportando di essere privati dei loro feudi, invocano l'aiuto del sovrano aragonese, imparentato con il defunto re Manfredi.
I feudatari nel Salento, in epoca svevo-angioina, acquisiscono un potere pressocchè assoluto nel loro territorio, i diritti baronali crescono a dismisura proprio per la debolezza del potere regio e per l'ignoranza e schiavitù in cui sono tenuti i vassalli. Vengono potenziati e/o costruiti insediamenti fortificati soprattutto lungo le coste a scopo di difesa, ma anche ampliati i porti, in quanto luoghi di interscambi commerciali e di armamento delle flotte verso l’Oriente e la Terra Santa, meta di pellegrinaggi.
La gestione del potere con gli Angioinirca angioino conserva l’apparato amministrativo e giuridico di Federico II. Lo Stato “ereditato” non ha bisogno di rettifiche, almeno nell’immediato. Tutto funziona secondo lo spirito delle Costituzioni: i rapporti feudali, il regime fiscale, i sistemi di successione delle famiglie feudali, il diritto civile e penale, e così via. Le leggi federiciane si rivelano molto efficaci per salvaguardare la stabilità nel delicato periodo di passaggio da un regime ad un altro. I passaggi generano sempre, in un modo o nell’altro, le reazioni contrarie dei sudditi, talora aizzati da capi ribelli di un certo seguito.
Di ribellioni ne avvengono dappertutto, e non sono di meno quelle scatenate in Puglia e nella penisola salentina in particolare. Brindisi, Lecce, Otranto, Gallipoli, Oria, Monopoli manifestano un’ ostilità senza compromessi e parteggiano per gli Svevi.
Per tutto il periodo di oltre un secolo e mezzo di dominio angioino, il Regno del Mezzogiorno rimane diviso in due tronconi, l’insulare e il continentale.
Gli Aragonesi e la pacificazione nel Salento
Dopo la reggenza degli Angioini, il Salento passò nelle mani di Alfonso d'Aragona, già sovrano della Sardegna, della Sicilia e della Catalogna. Successe a Giovanna II e si prodigò al fine di ottenere il trono del Regno di Napoli. La situazione che dovette affrontare non fu, però, delle più rosee. Infatti, la sua scalata fu aspramente contrastata da Renato d'Angiò, ultimo discendente angioino di Francia. Per raggiungere il suo scopo, l'aragonese si avvalse dell'appoggio di Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, principe di Taranto, e per gli abitanti del mezzogiorno divenne Alfonso I Il Magnanimo.
Giunto nel Sud d'Italia, vi trovò una situazione alquanto obsoleta e inadeguata rispetto ai tempi, ragion per cui cercò di rinnovare i rapporti diplomatici con gli altri regni, di svecchiare le forme istituzionali esistenti e di apportare riforme nell'amministrazione territoriale. Il nuovo regnante aveva le idee ben chiare su come bisognava muoversi e, occupandosi del riordino del governo centrale e periferico, fondò un'istituzione capace di superare i disordini in atto e di modificare lo stato di fatto senza, tuttavia, causare nuovi ed inutili sconvolgimenti.
Grazie alla sua politica, il "tacco" d'Italia attraversò un periodo di tranquillità e si lasciò alle spalle le lotte interne che, per lungo tempo, avevano lacerato queste terre e gli animi di coloro che le abitavano. Alfonso confidava nei consigli del principe tarantino tanto che, al fine di consolidare questo legame, gli aveva dato in sposa sua nipote Isabella di Chiaromonte, figlia di sua sorella. Ben presto, però, tra i due cominciò a soffiare vento di burrasca. Ciò accadde quando Giovanni Antonio realizzò che la politica aragonese mirava ad un drastico ridimensionamento e al decremento di tutti i poteri baronali, sino alla scomparsa dei grandi stati interni, compreso il Principato di Taranto. Questo girava naturalmente a suo sfavore e Orsini sentì minacciata la sua autorità, i suoi possedimenti e i privilegi che era riuscito ad ottenere negli anni.
Sicché, nel 1458, iniziò la contesa, la quale si protrasse per un lustro e si concluse con la morte, avvenuta in circostanze misteriose, del principe tarantino. Un ruolo importante in tale vicenda lo ebbe la regina Isabella, propugnatrice della pace familiare e della tranquillità della gente salentina. Essa, infatti, cercava di responsabilizzare i due avversari, interveniva da mediatrice nei vari alterchi e, per quanto possibile, tentava di evitare altri lutti al popolo di Terra d'Otranto, pur nella consapevolezza che, prima o poi, Taranto sarebbe passata sotto il dominio diretto di Napoli.
I timori della regnante trovarono riscontro quando la potestà del principato fu assegnata al secondogenito di Alfonso, Federico, il quale ottenne, tuttavia, solo il titolo onorario di "governatore". Questo passaggio di testimone fu possibile anche grazie al sostegno delle città pugliesi, che acconsentirono alla definitiva scomparsa della geografia giurisdizionale e politica della signoria di Taranto, esauste com'erano delle controversie e degli eccessi fiscali. Il popolo voleva fortemente liberarsi della sottomissione feudale e assoggettarsi al demanio regio.
Il Magnanimo gettò le fondamenta di uno stato moderno, nonostante il malcontento dei grandi feudatari. Alla sua morte, lasciò il suo pensiero e i suoi progetti nelle mani del figlio Ferdinando, il quale non deluse le aspettative del padre. Il nuovo sovrano si mise subito all'opera. Si impossessò dei tesori accumulati dal principe Orsini a Taranto, a Lecce, a Oria e a Bari e, alcuni centri, quali la stessa Lecce, furono costretti a chiedere perdono per precedenti ostilità. La moglie di Giovanni Antonio rese omaggio al nuovo monarca nel giorno in cui egli entrò ufficialmente nei confini tarantini e dovette sottomettersi al suo volere.
Il re Ferdinando fu assai generoso con i salentini, tanto che concesse numerosi privilegi, accordò esenzioni, condonò molte pene. Gli abitanti del Salento furono pervasi da un'atmosfera di serenità e di fiducia, che mancava loro da molto tempo, e questi cambiamenti infusero coraggio e speranza in questo popolo. Tutto il territorio si mobilitò e la maggior parte dei paesi di Terra d'Otranto chiese di cambiare posizione: Otranto, Nardò, Copertino, Lecce, Galatina, Melpignano, Gallipoli, Martignano, Alessano, non volevano più essere delle città feudali, ma demaniali. Vista, però, la grande domanda, non tutte le istanze furono accettate. Alcune cittadine passarono alla mercé dei nuovi signori, divenuti nobili feudatari. Il sovrano confermò, salvo delle eccezioni, l'ordinamento preesistente che comportava la presenza delle baronie o delle contee e dei rapporti di dipendenza feudale.
Ferdinando decise di compiere un viaggio nel territorio "iapigio" per conoscere la "sua" gente e per farsi conoscere. Partì da Napoli nel novembre del 1463 e vi fece ritorno nell'estate del 1464. La sua presenza in Puglia fu accolta da grandi onori e da acclamazioni, e da ciò si evince che l'approvazione dei salentini nei confronti della politica del nuovo sovrano era totale, salvo qualche piccola perplessità facilmente superabile. Il re aragonese fece visita a Galatina, a Lecce e a Taranto e diede udienza alle delegazioni cittadine e ai sindaci dei vari borghi. Ascoltò con attenzione le richieste di tutti e le lamentele di molti, ed accordò non poche concessioni. Egli ebbe presto modo di rendersi conto che molti centri versavano in uno stato di rovina. Ad esempio, Gallipoli lamentava la grande povertà dei suoi cittadini e chiedeva che essi fossero esentatati da ogni tassa. La disponibilità di re Ferdinando verso questa gente fu completa e tutto ciò portava i cuori a sperare in un risveglio economico e civile dell'intera area. Era suo desiderio agevolare ed incrementare lo spirito mercantile e i rapporti commerciali locali ed esteri.
A metà del XV secolo si era creata una situazione positiva per certi aspetti, ma negativa per altri. Se da un lato si verificò una crescita di contadini, di artigiani e di nobili rurali nei centri abitati e si appurò lo stanziamento di tribù straniere nei casali abbandonati o semidistrutti, dall'altro ci fu un decremento della popolazione in diverse città importanti, tra le quali Otranto e Brindisi. Il sovrano dovette così fronteggiare i problemi di spopolamento di numerose zone, e fu costretto a concedere importanti benefici al fine di ripopolare villaggi disabitati o poco abitati. Fu un uomo al servizio degli uomini. Si prodigò molto per la sua gente e per il suo regno. Un uomo buono e caritatevole che cercò di donare la pace ad una moltitudine stanca delle ingiustizie. La reggenza aragonese fu un vero toccasana per il Salento, un intervallo di pace tra anni di continue guerre. Un'oasi verde e lussureggiante in un deserto arido e insidioso. Un luminoso sorriso sul viso di chi, per lungo tempo, aveva conosciuto solo stenti e umiliazioni.
Alfonso I e Ferdinando d'Aragona: due grandi uomini, per un grande popolo.
I Borboni
Il nome dei “Borboni” appartiene ad una antica Famiglia Reale francese e la sua dinastia regna dal 1700 in vari Stati Europei. In Italia arrivarono nel 1734 quando Carlo di Borbone fu incoronato Re di Napoli e dette vita alla Costituzione di un nuovo Stato che prese il nome del Regno delle due Sicilie. Tra luci ed ombre vivrà il suo percorso storico fino al 1861, cioè fino alla Unità d’Italia.
Nell’arco di tempo più che secolare dal 1743 al 1861, tranne il decennio napoleonico che va dal 1806 al 1815, la Puglia e il Mezzogiorno furono interessati da mutamenti profondi, dalle crisi dell’egemonia sociale e politica, sia nella Chiesa che nella Nobiltà, privati dei Poteri e dei privilegi di cui avevano goduto da secoli. Si affermarono figure e gruppi sociali di estrazione “borghese” come: amministratori di feudi, massari, proprietari fondiari, mercanti, artigiani, più gli esponenti del mondo delle professioni e della burocrazia.
Si trattò di un vasto processo che ebbe il suo culmine con l’affermazione del governo e del modello di pubblica amministrazione di stampo napoleonico, che esprimeva il suo controllo in modo gerarchico, dal Centro alla Periferia. Fu il tempo della crescita demografica e delle mobilità sociali.
Si ebbe una forte espansione delle superfici coltivate e del seminato di Foggia, sulla Murgia barese, con i comuni di Altamura, di Gravina, di Poggiorsini, di Corato e di Spinazzola per la forte vocazione agricola. Migliora la forma “urbis” delle varie città sia sotto l’aspetto urbanistico che architettonico, sorgono piazze, ville comunali, teatri, luoghi pubblici. Viene varata la prima “Linea Ferroviaria Italiana” nel 1839 a Napoli Portici.
Quando nel 1860 il re Francesco II delle Due Sicilie cadde il Salento divenne parte del Regno d'Italia e con la legge del 20 marzo 1865 ottenne autonomia amministrativa con la creazione della provincia di Lecce, che ricalcava i confini dell'antica Terra d'Otranto. Con l'apertura del canale di Suez nel 1869, Brindisi divenne il terminale europeo della Valigia delle Indie, sviluppando commerci fiorenti. Il governo unitario dette inoltre alla Puglia e al Salento le prime ferrovie, dato che i borboni le avevano costruite solo nella zona di Napoli.
"E siamo così arrivati, con l’unità d’Italia del 1861, alla fine del regno di Napoli ed alla conseguente fine della “Provincia di Terra d’Otranto” a beneficio della “Provincia di Lecce”. Sarà forse stato il non poter più dire e scrivere ufficialmente “provincia di Terra d’Otranto” o sarà stato per una qualche subconscia reticenza ad usare al suo posto “provincia di Lecce” o chissà perché altro, certo è che quel Salento – proveniente dai vari Salentine, Salentina e ne’ Salentini – cominciò a poco a poco a diffondersi, tra fine XIX secolo e inizio del XX.
E quando la provincia di Lecce negli anni Venti del ‘900 fu smembrata in tre, fu d’obbligo ricorrere ad un altro termine che potesse, ormai non più legalmente ma solo letterariamente e colloquialmente, indicare la comunque storica regione salentina. E il termine Salento era già lì a disposizione, e piacque. Piacque oltre che agli scrittori anche ai giornalisti [la testata ‘Giornale di Brindisi’ – per qualche anno – mutò in ‘Salento fascista’] e finanche ai politici. Di Salento, infatti, si parlò anche all’Assemblea costituente quando ci fu, a cavallo tra il 46 e il 47, il tentativo quasi riuscito e poi frustrato di costituire la Regione Salento. Da allora, il termine Salento lo s’iniziò a ritrovare con sempre più frequenza sulla stampa, prima locale e poi nazionale, fino al suo straripare, anche internazionalmente, nei decenni più recenti." (“Salento”, il percorso del toponimo dalla preistoria alla consuetudine di oggi di Gianfranco PERRI".
Il Salento dopo l'Unità d'Italia
Con il Governo di Giovanni Giolitti fu realizzato il mastodontico Acquedotto Pugliese, il più grande acquedotto d'Europa, che permise all'intera Puglia di rimediare allo storico problema della penuria di acqua. I lavori iniziarono nel 1906, dopo che alcuni deputati pugliesi ebbero ottenuto la creazione di una commissione di studio, cui seguirono il finanziamento e l'affidamento dei lavori in concessione, mediante una gara internazionale. La realizzazione dell'opera fu possibile grazie all'utilizzo di ingenti mezzi finanziari (125 milioni di lire dell'epoca) e di materiali, nonostante non mancasse chi pronosticasse l'irrealizzabilità della stessa. Venne inaugurata nel 1914, ma fu effettivamente completato solo nel 1939.
Durante la Grande Guerra Brindisi contribuì in modo significativo all'evolversi degli eventi bellici, grazie all'ampiezza ed alla sicurezza del suo porto. Le industrie meccaniche presenti sul territorio, insieme all'Arsenale Militare Marittimo di Taranto lavorarono a ritmi frenetici.
Il primo dopoguerra fu caratterizzato da aspre lotte sociali fra proprietari terrieri e contadini. In diversi paesi del Salento ci furono scioperi, occupazioni di terre e agitazioni, per sedare le quali le forze dell'ordine ricorsero spesso alle armi. L'episodio più eclatante, noto come "l'eccidio di Parabita", si verificò il 21 giugno 1920 a Parabita, dove diversi manifestanti rimasero uccisi in seguito agli scontri con i Carabinieri.
Con l'avvento del fascismo, furono istituite le due nuove province, la provincia di Taranto con decreto del 2 settembre 1923 n.1911, e quella di Brindisi con la legge 2 gennaio 1927, ma l'egemonia amministrativa e culturale di Lecce continuò però a esercitarsi grazie alla presenza in città dell'unica sede del Tribunale e dell'unica Università del territorio. Durante il ventennio nel Salento furono realizzati insediamenti rurali per migliorare la resa della terra, vennero risanate zone malariche e paludose sia sul litorale ionico (bonifica della Terra d'Arneo) sia su quello adriatico, furono costruite scuole, formati gli insegnanti, realizzati alcuni palazzi istituzionali ed altre importanti infrastrutture.
Il rovinoso epilogo del regime non inficia alcuni successi ottenuti dal governo fascista in campo economico e sociale. I due quinquenni centrali del periodo fascista risultano essere gli unici, in tutta la storia dell'Italia unita, in cui il saldo dell'emigrazione diventa negativo, molti italiani emigrati all'estero ritornano in Patria attratti dal nuovo corso politico e dalle mutate condizioni sociali.
Le drammatiche condizioni economiche del secondo dopoguerra provocarono sia una ripresa delle lotte del movimento contadino (che con la riforma agraria degli anni cinquanta riuscì a ottenere la distribuzione ai braccianti del latifondo di Arneo), sia una massiccia emigrazione verso le città industriali del Nord Italia ricostruite con i fondi del Piano Marshall e con i proventi della parziale restituzione in dollari americani delle AM lire emesse dall'esercito statunitense per pagare servizi e derrate alimentari nel lungo periodo di permanenza delle proprie truppe sul suolo italiano. Circa l'80% del valore di dette AM lire prelevate in beni e servizi dal Meridione. I treni in partenza da Lecce sono stracarichi di emigranti alla ricerca di un lavoro. Molti vanno in Svizzera, in Belgio, in Gran Bretagna.
Nei primi anni sessanta il Salento si dotò di importanti impianti industriali. A Brindisi fu realizzata una grande industria petrolchimica che andava ad aggiungersi alle imprese meccaniche e aeronavali, garantendo opportunità di lavoro a tecnici e operai provenienti dal territorio e dalle province e regioni limitrofe. A Taranto nel 1965 venne inaugurato il "IV Centro Siderurgico Italsider", uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell'acciaio in Europa.
Negli anni settanta il Salento diventa una delle zone più industrializzate dell'intero meridione. I poli industriali calzaturieri di Casarano e Tricase inondano di scarpe l'Europa e la Russia dando lavoro a decine di migliaia di operai. Il settore tessile e dell'abbigliamento conosce un periodo d'oro. Grazie all'abilità e lungimiranza di alcuni imprenditori quali Cosimo Romano, matinese fondatore della Meltin' Pot o Antonio Filograna casaranese fondatore del Gruppo Filanto, il Salento conosce per la prima volta dopo l'unità un periodo di espansione e benessere che durerà per quasi un trentennio fino alla crisi del manifatturiero della fine degli anni "90 che sconvolgerà ancora una volta gli assetti sociali ed economici del territorio.
Attualmente il territorio del Salento conosce un processo di terziarizzazione dell'economia e punta sulla produzione e la commercializzazione di prodotti locali di qualità, nonché sull'uso delle peculiarità del territorio in funzione del turismo che grazie anche al rinnovato interesse per le caratteristiche culturali ed enogastronomiche insieme alle bellezze paesaggistiche e alle spiagge incantevoli è diventato una delle mete più ambite del turismo balneare macinando numeri notevoli in termini di presenze e fatturato.